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Non è tanto il caldo, perché l’aumento della temperatura si sente ma non si vede. Ciò che colpisce l’immaginario collettivo è l’assenza di acqua lì dove c’è sempre stata. In questi mesi l’Italia ha scoperto uno dei possibili effetti del cambiamento climatico, per troppo tempo trascurato: una devastante siccità. Incendi che si propagano con velocità allarmante nel sottobosco secco, laghi ridotti a pozzanghere mentre gli alvei dei grandi fiumi emergono in tutto il loro candore. Anche il sistema delle dighe alpine è allo stremo; esasperata in molti casi da una gestione personalistica dei consorzi di bonifica, da una rete di acquedotti storicamente ridotta a colabrodo e da sistemi di irrigazione anacronistici che disperdono più di quanto innaffino, la siccità colpisce severamente agricoltura e allevamento, con danni che Coldiretti stima attorno ai 2 miliardi di euro. Due terzi delle Regioni sono a secco e in almeno dieci si attende il riconoscimento dello stato di calamità; in Veneto, dove i volumi teorici a disposizione dell’agricoltura comprendono tuttora – e incredibilmente – l’invaso del Vajont, la giunta ha emesso in questi mesi ben tre ordinanze allo scopo di contingentare l’acqua mentre nel Lazio il lago Bracciano è sotto di 1.63 metri rispetto allo zero idrometrico e prossimo al punto di non ritorno.
Secondo i ricercatori dell’Istituto di Ricerca sulle Acque (Irsa) del CNR, un ulteriore abbassamento di circa 40 centimetri comporterebbe elevati rischi di ripercussioni sull’ecosistema e sulla falda circumlacuale. Compresa la cessazione della naturale capacità di autodepurazione del lago che renderebbe necessario il trattamento delle acque del lago prima di poterle utilizzare.
Il rapporto ISPRA
Nei giorni scorsi, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra) ha pubblicato il consueto aggiornamento del rapporto “Gli indicatori del clima in Italia” che illustra l’andamento nel corso dell’anno appena trascorso e aggiorna la stima delle variazioni climatiche negli ultimi decenni. Rispetto al trentennio di riferimento (1961-1990), il 2016 ha fatto registrare un aumento della temperatura media di 1.35°C, leggermente superiore all’incremento di +1.31°C di quella globale. A differenza di quest’ultima, che per il terzo anno consecutivo ha stabilito un nuovo record, il 2016 è il sesto anno più caldo della serie storica italiana, il cui primato è stato stabilito nel 2015. Eccetto il mese di ottobre nelle regioni settentrionali tutti i mesi del 2016 sono stati più caldi della norma. Se durante l’estate non si sono verificate ondate di calore particolarmente intense o durature, la stagione invernale è stata caratterizzata da anomalie termiche piuttosto marcate, con un aumento della temperatura media pari a +2.15°C. In altre parole, a cambiare non è tanto la stagione estiva quanto l’inverno, caratterizzato da un numero minore di giorni freddi e temperature più alte. Tuttavia, l’aspetto più rilevante del 2016 è stato proprio la persistenza di condizioni di siccità; la seconda metà dell’anno è stata caratterizzata da periodi prolungati di carenza o addirittura assenza di piogge in diverse regioni, che a fine anno hanno portato le risorse idriche a livelli mediamente molto bassi. Le precipitazioni annuali sono state complessivamente inferiori alla media di circa il 6%: il carattere prevalentemente secco del 2016 è confermato dal valore medio nazionale di umidità relativa, che con un’anomalia media di -2.4% rappresenta il quarto valore più basso dal 1961. Al contempo, non sono mancati gli eventi estremi anche di forte intensità e durata che hanno colpito particolarmente la Liguria e il Piemonte alla fine di novembre.
Quale clima?
Il cambiamento climatico non è un evento ipotetico che appartiene a un futuro remoto ma un fenomeno attuale e sfuggente con cui dobbiamo imparare a convivere. “Le osservazioni sull’aumento dei gas serra sono consistenti, mentre le altre spiegazioni proposte per spiegare il cambiamento dei parametri atmosferici insoddisfacenti” ricorda il climatologo Antonio Navarra, presidente del Centro Euro-mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC). Il Mediterraneo è posto sul bordo di transizione tra due zone climatiche, con caratteristiche molto diverse. A seconda delle oscillazioni stagionali il confine si sposta: in inverno la nostra penisola è perlopiù compresa nella fascia temperata, in estate in quella subtropicale, caratterizzata da una spiccata siccità. L’intensificarsi del cambiamento climatico promuove lo spostamento verso nord della cella di Hadley e con essa dell’anticiclone africano che si traduce nel rischio di desertificazione per le regioni più meridionali del Paese e nella tropicalizzazione delle rimanenti. Non è questione di alcuni giorni particolarmente caldi o dei millimetri di pioggia caduti. “Sarebbe sbagliato correlare il singolo evento anomalo al cambiamento climatico. Sono fenomeni che hanno scala temporale molto diversa, è come se volessimo spiegare la vibrazione del tavolino di casa con un terremoto avvenuto molto lontano” prosegue Navarra. Il cambiamento climatico è un gioco di statistiche e le risposte sono fornite in base alle probabilità. Ciò che c’è di certo, è che sta avvenendo. Lo scenario elaborato dalla Divisione Modelli Regionali e Impatti al Suolo del CMCC relativo al trentennio 2021-2050 delinea per il nostro Paese un aumento dei periodi di siccità e in più in generale una diminuzione delle piogge, in particolare di quelle estive anche del 20% rispetto al clima attuale. Ecco perché è il momento di cambiare passo. “Oggi nessuna politica è scritta appositamente per il cambiamento climatico ma allo stesso modo nessuna ignora il fenomeno” conclude Navarra. Perché il cambiamento climatico è qui e ora. E dovremo imparare a conviverci.
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